martedì 2 novembre 2010

Alluvione del 4 ottobre 2010 - inserire qui commenti e documenti

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Alluvione del 4 ottobre 2010

Il nostro Gruppo apre il suo blog per dare a tutti i cittadini la possibilità di esprimere proposte, giudizi, commenti, suggerimenti e quanto si ritiene necessario e utile non solo per porre rimedio alla situazione attuale, ma per permettere all'Amministrazione Comunale di conoscere meglio il proprio territorio e di trovare le soluzioni ottimali perchè eventi come questi non producano -in futuro- simili conseguenze.

Cittadini per Varazze

domenica 2 maggio 2010

Mariarina Dagnino: “l’acqua deve rimanere pubblica”

Prendo spunto dall’articolo pubblicato sul sito del "Giornalino di Varazze" dal titolo “Gente Comune raccoglie 4191 voti contro l’ATO” per puntualizzare e precisare quanto segue.

Il 22 Marzo u.s. ha preso il via in tutta Italia la campagna referendaria diretta a raccogliere le firme che permetteranno l’indizione del referendum abrogativo di quelle norme che di fatto consentono la privatizzazione dell’acqua .
Il rischio che grandi multinazionali approfittino di queste disposizioni è evidente così come lo sono le conseguenze che potrebbero derivarne a cominciare dall’aumento dei costi. Per evitare che tutto ciò avvenga è stata promossa una campagna referendaria alla quale hanno aderito molte istituzioni , associazioni e personaggi di rilevanza pubblica.

Sul nostro territorio l’adesione e la disponibilità ha riguardato anche le liste Civiche di “Cittadini per Varazze” - “Gente Comune” - “Per Varazze” ( così in citate seguendo l’ordine alfabetico ) che hanno dato disponibilità a partecipare ai presidi di raccolta anche attraverso i loro Consiglieri Comunali, autorizzati, per legge, ad autenticare le firme.
E’ così che Sabato 24 e Domenica 25 Aprile alla presenza dei Consiglieri Bozzano (sabato mattina) - Dagnino (sabato pomeriggio) - Vallerga (domenica pomeriggio) - sono state raccolte in Varazze 489 firme che, sommate alle altre vidimate in Provincia di Savona, hanno consentito di raggiungere quota 4191.

La raccolta proseguirà per tre mesi e certamente verranno organizzati altri presidi. Sarà compito di tutti, indistintamente, impegnarci per sensibilizzare il maggior numero possibile di persone affinché con la loro firma indichino in modo chiaro a chi ci governa che l’ACQUA è un BENE COMUNE e per tanto deve rimanere PUBBLICA.
Non importa se siamo più bravi di altri a raccogliere firme. Ciò che ci deve interessare è quanto saremo capaci di far comprendere ai cittadini l’importanza di questa iniziativa.

martedì 2 marzo 2010


L'improvviso sopravvenire di gravi problemi ci costringe a rinviare l'iniziativa
"LA FORZA DELLE DONNE" promossa dal gruppo Cittadini per Varazze e in programma per il giorno 6 marzo.
Augurandoci di poter riprendere le fila di una discussione con le donne elette nella Provincia di Savona, Ci scusiamo per l'inconveniente.


I CITTADINI PER VARAZZE AUGURANO A TUTTE LE DONNE UN BUON 8 MARZO

martedì 23 febbraio 2010

INTERVISTA A MARIARINA DAGNINO DEL 30 GENNAIO

di VALERIA ROSSI – Mariarina Dagnino, consigliere comunale a Varazze in rappresentanza della lista civica “cittadini per Varazze”, è una di quelle rare persone che l’”opposizione” la fanno davvero; e nonostante sappiano farla in modo pacato e in toni civili, per queste persone “dialogo” non è sinonimo né di “inciucio”, ovvero di opposizione di facciata, con accordo sotterraneo. Sono perle sempre più rare? No, tutto sommato sono convinta di no. Le persone sane che vogliono fare una politica sana esistono: forse un po’ meno a livello nazionale – per quanto ce ne sia qualcuna anche lì -, molto più spesso a livello locale, soprattutto nelle liste civiche che rappresentano più il cittadino che la (vera o presunta) “casta” di politicanti che hanno dimenticato il valore della politica.
Ho chiesto ed ottenuto un’intervista con la dottoressa Dagnino, avvocato nella vita “normale” (sembrerebbe scherzoso, ma quando si pensa a certa politica, considerarla “anormale” diventa quasi realtà: altro che battuta), alla quale ho voluto fare prima di tutto una specie di “terzo grado” politico-filosofico-idealistico (bello, eh? D’accordo: diciamo che abbiamo fatto quattro chiacchiere sul significato della politica “sana”) che – avviso – ha reso questa intervista particolarmente lunga. Ma ho la presunzione di credere che valga la pena di leggerla, e non solo per i varazzini: perché la Dagnino è, appunto, persona “sana”, nel senso che possiede quei valori e quell’onestà intellettuale che dovrebbero appartenere a “qualsiasi” politico, anzi dovrebbero essere imprescindibili da qualsiasi carica pubblica. Purtroppo la storia recente, invece, è piena di esempi che ci fanno considerare “mosche bianche” le persone come lei (che dovrebbero essere la norma) e “normali” i vari inciuciatori, cacciatori di poltrone, affaristi più o meno legittimi.
Siccome è evidente che c’è qualcosa che non va, penso che sia utile sapere come la pensa, come vive la politica una di queste mosche “che bianche non dovrebbero essere”.

D: A Varazze lei è considerata la parte più “tosta” dell’opposizione: si vede così anche allo specchio?
R: No, veramente io non mi sento particolarmente “tosta”: mi sento una persona che ha dei principi, nati da un percorso che inizia fin dall’infanzia, grazie alla disponibilità dei miei genitori a dibattere e a discutere su tutti i problemi.
Principi che sono stati anche collegati a un certo modo di ragionare e poi di fare politica intesa come “servizio che deve essere dato alla cittadinanza”. Ho sempre lavorato seguendo questi capisaldi e questi presupposti.

D: Ci si ritrova ancora?
R: E’ molto difficile, però si può fare. Oggi come oggi la politica è spesso legata agli interessi, a un modo diverso di concepire la disponibilità e l’utilizzo della cosa pubblica; però è altrettanto vero che ci sono tante persone di buona volontà che lavorano sulla base di valori.
Estrapolarli da una realtà che è molto difficile da vivere, per situazioni contingenti legate anche a certi percorsi storici (che a volte dovrebbero essere riletti e valutati in modo diverso), è molto difficile: riunire le persone sane è ancora più difficile. Ma anche oggi, nonostante tutto, è possibile lavorare con spirito di servizio e nel rispetto degli altri.
Questa da molti è considerata un’utopia, ma io credo che sia ancora la strada migliore per risolvere i problemi. Io non credo che venga nessun frutto da un lavoro che tende solo all’interesse personale, mentre i frutti arrivano (per tutti) se si lavora in funzione della collettività.

D: Le credo ciecamente. Ma è davvero possibile lavorare così in un contesto che vede costantemente imposizioni e decisioni prese “dall’alto”?
R: Be’, a me capita spesso di sentirmi un po’ un Don Chisciotte, non lo nego. A volte ti trovi in situazioni che sono più grandi di te e diventa impossibile affermare i tuoi principi. Io però ho sempre ragionato in questo modo: anche quando è impossibile raggiungere risultati reali, vale comunque la pena di provarci. E ne vale la pena perché, se non dovessi riuscirci, avrai comunque lasciato una testimonianza, un messaggio.
Ho letto recentemente una frase che mi ha colpito molto, anche se in questo momento non ricordo chi l’ha scritta. Diceva: “Quando prendete una decisione, chiedetevi sempre quali conseguenze avrà sulle generazioni future”.
Credo che questo sia molto vero: se io oggi faccio politica con leggerezza, per ottenere solo uno scopo personale, alle generazioni future sicuramente non lascio niente. Se la faccio pensando in prospettiva, non solo posso lasciare qualcosa, ma ne guadagno anch’io, oggi, in molti sensi.

D: Tutto questo è molto bello, ma la politica ha anche bisogno di risultati, e in questo momento avrebbe bisogno soprattutto di “cambiamenti” anche radicali. Non credo che possiamo accontentarci di star bene con noi stessi, di sapere che abbiamo fatto il possibile ed eventualmente dato un segnale corretto, se poi non riusciamo a cambiare le cose. Ma come si possono cambiare? Solo con le bombe, come si sente purtroppo ventilare da qualcuno? O pensa che possa esistere una strada “sana”, pacifica e onesta, ma che produca anche un risultato concreto?
R: Fare politica solo per “stare bene con se stessi” è riduttivo, non porta da nessuna parte: io la vedo in modo molto negativo. La politica intesa in senso rivoluzionario, invece, è distruttiva: anche se arrivasse ad un risultato, non può mai essere un buon risultato quello che passa per la distruzione e la violenza.
Io credo che l’unica strada da percorrere passi invece attraverso la nostra capacità di far crescere culturalmente le generazioni.
Io ripeto sempre a mio figlio che il patrimonio di una persona non dipende da quello che ha in tasca, ma da quello che ha in testa. Poi c’è un altro passo in avanti da fare: la condivisione, la partecipazione.
Io sono cattolica, credente: e da bambina mi sono sempre posta un sacco di interrogativi quando sentivo parlare della parabola dei talenti (la parabola narra di un uomo che, dovendo partire, affida ai suoi servi alcuni talenti, monete dell’epoca: due di loro li investono e li fanno fruttare, mentre il terzo nasconde sotto terra il suo talento per essere sicuro che nessuno glielo porti via. Al suo ritorno, il padrone elogia i servi che hanno rischiato investendo il denaro, mentre punisce il terzo che l’ha seppellito. Ndr).
Mi chiedevo: ma perché quel povero cristo che ha tenuto da parte i soldi, per essere sicuro di poterli restituire al padrone, deve essere giudicato in modo negativo? In fondo ha agito in buona fede, è stato corretto, mentre gli altri hanno rischiato di perdere quei soldi che non erano neppure i loro!
Poi, da grande, ho ragionato in modo diverso e mi sono resa conto che se noi abbiamo un po’ di cervello, un po’ di “talento”, dobbiamo anche metterlo in uso, condividerlo. Servirà agli altri, magari poco, ma soprattutto servirà a noi per raddoppiare le nostre capacità, le nostre conoscenze, la nostra interiorità.
Per questo io penso che la strada giusta, in politica, sia quella di mettersi a disposizione: di far crescere culturalmente i nostri giovani, perché noi, a cinquant’anni, siamo già “vecchi”, tra virgolette, per fare investimenti su noi stessi. Però possiamo farli su di loro.
Ieri ho partecipato alla Giornata della memoria, qui a Varazze, dove è stato presentato il libro di Capra sui campi di prigionia. Mi sono stupita molto perché i ragazzi delle elementari e delle medie… intanto non sapevano dov’è Cairo Montenotte, e questo già è fuori da ogni logica… ma non sapevano neppure cos’era un dittatore: qualcuno ha detto che era un generale, o un comandante dell’esercito. Non avevano idea, non riuscivano a codificarlo. Ma quello che mi ha più meravigliato è stato il fatto che a un certo punto Capra ha chiesto: “In quel periodo venivano imprigionate le persone che non la pensavano come il dittatore, in particolare gli ebrei; sarebbe come se oggi noi pensassimo di mettere in campi come questi i musulmani. Voi pensate che sarebbe giusto?”
E qualcuno ha risposto: “Sì”.
Tornando a casa, a pranzo, ho detto ai miei genitori – che grazie al cielo sono ancora con me, e anche se sono anziani hanno la testa perfettamente a posto - che se fossi stata l’insegnante di quei ragazzi, sarei sprofondata.

D: Forse il problema è proprio questo: la scuola, oggi, si trova a questi livelli. Non dico che “insegni” atteggiamenti incivili come il razzismo, ma evidentemente non fa molto per evitare che questi si infiltrino dall’esterno; e in generale non fa – o non può fare? – molto per quella crescita culturale di cui lei parlava poc’anzi. Quindi, siamo in un vicolo cieco?
R: Non scopriamo l’acqua calda, purtroppo, dicendo che la scuola non è un grande luogo di formazione: io non ho la cultura e le conoscenze specifiche adatte per poter approfondire questo problema, ma anche solo all’esterno appare evidente la cattiva volontà di chi ci sta governando e l’assoluta indisponibilità ad investire nella scuola, nella ricerca, nella cultura in generale.
Anche nella mia professione, quando studiavo io era dura prendere la laurea e l’abilitazione: abbiamo faticato davvero per arrivarci.
Oggi ci sono scorciatoie di ogni tipo per acquisire titoli all’estero, o per laurearsi in atenei più “accessibili”…

D: …come certe università del Sud a cui conviene rivolgersi, specie se si vuol diventare Ministri della Pubblica Istruzione?
R: Sì, esattamente. D’altro canto è difficile anche fare un salto di qualità: qualche tempo fa, ad un convegno, si è parlato della possibilità di creare una sorta di scuola di formazione e di specializzazione per la professione forense. Bene, sono sorte subito immense difficoltà da parte delle grandi compagnie assicurative, da certe associazioni, dalle stesse università che non vogliono perdere il monopolio dell’istruzione… insomma, si rientra sempre nello stesso cerchio dell’economia che governa sulla politica.

D: Il suo percorso personale, oggi, qual è? Cosa fa, in termini pratici, per realizzare una politica sana e giusta?
R: Io sono una piccola consigliera di minoranza, che ha combattuto parecchio per entrare in Consiglio comunale. Di sicuro non lo faccio per ragioni economiche: anche se dicono che “i politici guadagnano molto”, le assicuro che non succede certo a questi livelli! Nel mio piccolo, anzi nel mio piccolissimo, cerco di far valere quelli che sono i miei principi di rispetto per gli altri e di “interesse pubblico”.

D: A Varazze la Giunta è cambiata: l’amministrazione è passata dalla sinistra alla destra. Cos’è cambiato?
R: Devo dire che non è cambiato molto, anzi: da parte di qualcuno – non di tutti, purtroppo, ma di qualcuno sì – c’è forse un minimo di rispetto in più. Io sono all’opposizione in rappresentanza di una lista civica, “cittadini per Varazze”, che è al secondo mandato in Consiglio comunale. E’ nata come gruppo a cui fanno riferimento persone indipendenti, come me, che non si ritrovavano nella sinistra moderata soprattutto a livello locale. Questo gruppo ha ottenuto l’appoggio di Rifondazione comunista, dei Comunisti italiani e inizialmente anche dei Verdi, che poi però si sono un po’ staccati. Recentemente, però – e credo di poter formalizzare la cosa in breve tempo - rientreranno nel nostro gruppo.

D: Come mai avevano lasciato?
R: Il gruppo dei Verdi, a Varazze era composto da poche persone che si sono un po’ disgregate: ci sono state delle discrepanze, ma niente di particolarmente grave, tant’è vero che oggi sembra fattibile il riavvicinamento.

D: E con il gruppo di Gente Comune, che è un’altra lista civica con proposte più o meno simili alle vostre, come mai non avete trovato un percorso unitario? Anzi, le faccio una domanda più generale: come mai si sono viste tante liste diverse in una cittadina piccola come Varazze?
R: Io penso che siano state una reazione al fatto che, negli ultimi anni, a Varazze si sia vissuta una situazione di monopolio che un po’ alla volta ha fatto defilare tutte le persone che non accettavano questo stato di cose: soprattutto a sinistra, visto che la sinistra dovrebbe essere l’antitesi dei monopoli e dell’accentramento di poteri e decisioni. I primi a staccarci siamo stati noi, con determinate esigenze e determinati valori; poi è nato il gruppo di Vallerga, che ha fatto capo essenzialmente al movimento di Grillo e che aveva un approccio diverso dal nostro. In realtà ci sono tanti modi diversi di fare politica, anche la politica “sana” si può approcciare in modo diverso. Personalmente non condivido il loro metodo, ma questo non toglie che possa essere altrettanto valido: e ringraziamo il cielo se ognuno può ancora esprimere liberamente le proprie idee e le proprie linee di azione! Con Gente Comune ci siamo “fraternamente scannati” durante le elezioni, come era purtroppo inevitabile anche perché i posti disponibili erano ben pochi: adesso, però, abbiamo ricominciato a lavorare insieme su alcuni punti. Per esempio, proprio all’ultimo Consiglio comunale, abbiamo fatto fronte comune sul problema dell’acqua, firmando insieme la richiesta di convocazione. Quindi si è ripreso un dialogo, e quando si riprende un dialogo gli sbocchi possono essere solo positivi.

D: Ecco, sempre “dopo” le elezioni… so che può sembrare qualunquistico, ma io continuo a pensare che se tutte le componenti di opposizione, che dialogano “dopo”, riuscissero a farlo “prima”, a fare fronte unico sui tanti punti comuni - tralasciando magari i motivi di divisione, che quasi sempre sono meno numerosi e forse anche meno importanti – forse oggi sarebbero alla maggioranza anziché all’opposizione.
R: Ci abbiamo provato, le assicuro che ci abbiamo provato. Ma c’erano divergenze insormontabili proprio sul modo di intendere la politica, anche se è verissimo che molti scopi erano comuni.

D: Ma almeno sul locale, non è possibile pensare prima di tutto a risolvere i problemi? Perché se non ci fossero andrebbe bene tutto, per assurdo non servirebbero neppure le elezioni: ma quando ci sono, e sono seri, perché non unirsi in modo da poterli risolvere e POI, semmai, “scannarsi” sulle dietrologie, sulle ideologie e su tutte le “logie” che alla fine lasciano il potere in mano agli altri, e i problemi allo stesso punto di prima?
R: Perché risolvere quei problemi significa comunque avere dei percorsi alle spalle: perché il mio modo di affrontare quel problema, che deriva dalla mia formazione, è diverso da quello di chi ha una formazione diversa e quindi un approccio diverso.
Perfino sul tema dell’acqua, che era assolutamente condiviso, abbiamo discusso moltissimo, perché partivamo da presupposti non diversi nel risultato, ma nel percorso da fare. Per esempio, noi sostenevamo che l’unica strada era quella di modificare lo statuto, mentre dall’altra parte si sosteneva l’opportunità del movimento di piazza.

D: E non si poteva fare un movimento di piazza che chiedesse la modifica dello statuto?
R: Certo che si poteva. Ma vista da fuori, a volte, la soluzione sembra facilissima, mentre dal di dentro è molto diverso. Non sempre, forse, si riesce a scegliere il semplice “buon senso”: entrano in gioco un sacco di altri fattori, di equilibri delicati e difficili da far quadrare.

D: Resta il fatto che molte minoranze sono tali proprio perché frantumate: se si unissero avremmo molti Comuni in cui proprio le liste civiche, che sono l’espressione dei cittadini “reali” e non della politica più legata all’interesse, potrebbero governare. E’ d’accordo?
R: Sì. Sono pienamente d’accordo. Però bisogna dire che, almeno negli ultimi anni, la politica in Liguria ha significato soprattutto “sfruttamento del territorio”. Tutto il resto è sempre stato di contorno, proprio a livello di “se funziona bene, altrimenti chi se ne frega”. Diventa difficile anche fare un’opposizione concreta sui singoli problemi, quando ci si rende conto che verso quei problemi, in realtà, c’è ben poco interesse. E allora diventano più facili anche gli scontri di tipo “ideologico”, perché siamo tutti talmente preoccupati dalla situazione esistente che finiamo per avere perfino il timore di chi la pensa come noi, perché andiamo sempre a sospettare che sotto sotto ci sia il solito discorso che più o meno di può esemplificare così: “Questa cosa tu non la devi fare, non perché sia sbagliata, ma perché la voglio fare io!”. Purtroppo è questo che succede da molti anni nella nostra realtà locale.

D: Allora scendiamo nel particolare, proprio sul territorio di Varazze. E’ corretto dire che il problema principale, un po’ come in tutta la Liguria, è il cemento?
R: Sì, è un problema enorme a cui se ne legano molti altri. Ma se noi andiamo a vedere la normativa, a cominciare da quella regionale ed arrivando a quella nazionale di tutela del paesaggio, la ratio che ha determinato la formazione dei piani territoriali, l’ordinamento paesaggistico piuttosto che il codice dell’ambiente, io capisco che lo spirito che voleva perseguire il legislatore era quello di preservare e tutelare le caratteristiche del nostro ambiente. Se poi di questo si fa un cattivo uso, è colpa dei politici che amministrano a livello locale.

D: Be’, ma in fondo l’hanno interpretato bene: “preservano le caratteristiche del nostro territorio”. Siccome il nostro territorio ormai è un blocco di cemento, preservano e tutelano il cemento…
R: Purtroppo è vero: ma mi sto rendendo conto che da qualche tempo – da poco – qualcosa sta, forse, cominciando a cambiare. Qualcuno comincia a capire. Per esempio, a Varazze, per anni ed anni abbiamo detto che la fonte principale della nostra economia era il turismo.
Ma se così fosse, lasciando pure perdere che abbiamo mandato a bagno il terziario e tutto il resto…se fossimo stati degli amministratori attenti ci saremmo dovuti chiedere: quale risposta devo dare alla domanda turistica? Chi abita a Milano o a Torino, nelle grandi città cementificate, vuole davvero venire qui da noi a trovare altro cemento?
Dobbiamo capire che cosa vuole il turista, dobbiamo fare i conti con le strutture ricettive che abbiamo: non abbiamo niente!
Perché zone come le Cinque Terre, o la costiera amalfitana, vivono “davvero” di turismo? Perché hanno mantenuto le loro pecularità. Ma se qui, per tenerci i voti, dobbiamo per forza trovare accordi con le grandi imprese e continuare a costruire, costruiremo delle città deserte. Ed è quello che abbiamo.
Le città “turistiche” sono abbandonate per nove mesi all’anno: non è vero che chi ha comprato la casa a Varazze poi ci viene in ferie. Ha fatto un investimento, affitta se trova da affittare ad alto prezzo, altrimenti la tiene chiusa. Si tratta di capitali immobilizzati che non spingono l’economia cittadina, perché le case estive chiuse hanno mandato in crisi tutta l’economia locale. Abbiamo negozi che durante l’inverno fanno fatica ad andare avanti e campicchiano alla bell’e meglio, sperando in un’estate che poi vede arrivare turisti che si portano la spesa da casa. Adesso siamo in una condizione di crisi particolare, ma anche prima, da noi, la crisi c’era già. Ma nessuno si chiede come sfruttare il territorio per offrire qualcosa di appetibile al turismo: si pensa solo a come raccogliere il voto in più o a come raggiungere un tornaconto personale a spese di tutta la collettività.
Sentivo ieri un’intervista al sindaco di Sanremo, a proposito del Festival. Lui ha fatto questo esempio: “Avevamo un Festival che era un albergo a cinque stelle, adesso è diventato la Pensione Mariuccia”.
A me è venuta subito in mente Varazze… perché qui abbiamo “solo” pensioni Mariuccia, su tutto il territorio!
Il turismo è sempre stato portato come blasone di Varazze, da tutte le amministrazioni. Ora, cosa succede? Che pur cambiando le amministrazioni, al momento dell’ultima disanima, ci sono state 53 richieste di dismissione di strutture alberghiere. Allora: un imprenditore che fa l’albergatore e che decide di dismettere la sua struttura per farne seconde case, io mi chiedo se ha mai lavorato nella giusta prospettiva imprenditoriale. E non ho problemi a dirlo, anche all’associazione albergatori. So di non essere molto simpatica agli albergatori, ma io mi limito a metterli di fronte alla realtà: loro, e anche i bagni marini.
Non si sono mai adeguati ai tempi, non investono nel loro lavoro, sono abituati a vedere l’amministrazione cittadina come un ente assistenziale, che “deve” sempre dare loro qualcosa: ma non è così che funziona.

D: Indubbiamente Varazze oggi è una città turistica senza turismo. Ed è anche la città dei cantieri Baglietto, un altro motore economico che sta andando in malora…
R: Altro grosso problema, infatti. Quando si è parlato della riqualificazione del retroporto, si è sempre parlato di aggregare nel piano di ricostruzione la parte relativa ai cantieri Baglietto. Era una condizione posta anche dalla Regione. Da lì è venuto fuori quel progetto forsennato che prevedeva alberghi a cinque stelle vicino alle segherie, centro commerciale, spazio per la protezione civile e per la croce rossa e così via.
Il nostro gruppo, quando ha visto questo progetto, ha tratto subito questa conclusione: se un gruppo come quello dei Baglietto mi dà spazio per tutti questi progetti, è evidente che ha intenzione di chiudere, perché non rimarrebbe niente. Sono stata “aggredita” un po’ da tutti i lati dicendo che non capivo niente, che la preoccupazione per i cantieri era una mia fissazione, che i cantieri erano assolutamente in buona salute… ma alla lunga si è visto che tutti i torti non li avevo.
Ora, guardiamo il problema come si presenta oggi: la cantieristica, per Varazze, è un volano economico anche dal punto di vista dell’immagine. E’ indubbio che il binomio Varazze-Baglietto ci abbia veicolato un po’ ovunque: quindi un’amministrazione, secondo me, dovrebbe fare tutti gli sforzi possibili per mantenere in vita questa indirizzo.
Io non sono un’esperta del settore, ma se guardiamo indietro nel tempo vediamo che i momenti di crisi, per la cantieristica, ci sono sempre stati: e ogni volta che ci sono stati, i cantieri Baglietto sono stati in grado di “riciclarsi”, di reinventarsi qualcosa, senza mai pensare di chiudere. Ma questo avveniva finché c’era una famiglia Baglietto che era di Varazze, che aveva una sua tradizione e una sua cultura tutta varazzina. Poi la proprietà è cambiata. E se io mi metto nei panni della proprietà, che oggi non ha più questo legame affettivo con Varazze ma che ha una struttura a La Spezia, una a Pisa e una a Varazze… se mi trovo in una situazione di crisi, e se faccio un piano industriale serio, devo per forza chiudere Varazze.
Quello che secondo me bisognerebbe capire è che la prospettiva futura sta nello sviluppo tecnologico, nella ricerca, nell’innovazione. Allora, se i Baglietto qui non possono più costruire yacht, mi possono creare qui una scuola di formazione e di progettazione; mi possono garantire qui il centro di amministrazione e tutto quello che è il percorso della ricerca, sia progettuale che di mercato. Allora io “trasformo”, non chiudo. Non perdo lavoro, non perdo l’immagine e rimetto la struttura in grado di non pesare sulla città ma di tornare ad essere un punto nevralgico.
Si devono fare due conti: quante persone sono impiegate oggi nei cantieri? 17, 18 persone, più l’indotto?
Allora io devo avere garantiti 17-18 posti di lavoro. Poi avrò, all’interno di questo gruppo,il tecnico progettista e il carpentiere: allora il tecnico progettista verrà reimpiegato, per esempio, come insegnante nei corsi di formazione, e intanto devo programmare una collocazione adeguata per il carpentiere.

D: Veniamo al porto, altro teorico “volano economico” che non sembra aver prodotto i risultati promessi.
R: Il porto, una volta, era “della città”: oggi non più. Privatizzato, è diventato lo show room dell’imprenditore. Doveva rappresentare un volano dell’economia, un punto di raccordo tra la città e la nuova realtà economica: non c’è stato niente di tutto questo, non ha portato assolutamente nulla… se non in negativo, come nel caso della passeggiata che è stata “adeguata” alla bruttura della struttura in legno che caratterizza il porto stesso.
Con il porto si è partiti in ritardo, quando già si andava – e lo si sapeva – verso la crisi: e lo stesso potrebbe accadere oggi col retro porto. A proposito, l’ultima sul retroporto è che si vorrebbe fare il campo sportivo al Salice – che è un acquitrino – perché dove c’è adesso il campo sportivo si vuol fare la piscina. Un altro investimento che in tempo di crisi rischia di diventare fallimentare e di togliere, anziché aggiungere, qualcosa alla città.
Tornando al porto: abbiamo i pescatori penalizzati, segregati in uno spazio assolutamente inadeguato. Abbiamo associazioni sportive, come la Lega Navale o il Club nautico, che speravano in una spiaggia che non arriverà mai (e non ci volevano gli scienziati per capirlo, noi l’abbiamo detto fin dal primo momento), e che vorrebbero creare spazi per lo sport, avviare i giovani allo sport, ma non hanno lo spazio per farlo. Al porto doveva trovare spazio il Museo del mare, che però “non ci sta” letteralmente.
Invece potrebbe trovare posto, per esempio, all’interno della rivalutazione dei cantieri Baglietto di cui parlavamo prima.

D: Cosa può dirmi dell’entroterra?
R: Il nostro entroterra è bellissimo, ma poco sfruttato. Non ci abbiamo mai investito, e pensare che c’è moltissimo interesse. Per esempio si potrebbe lavorare benissimo con il turismo scolastico all’Apicella, valorizzando il piccolo museo dell’Apicella (l’Università di Genova sarebbe interessata ad un progetto) . Stesso discorso per la passeggiata Europa, che è stupenda ma abbandonata a se stessa: diverse scuole ci hanno chiamato perché vorrebbero portarci i ragazzi, ma quando ci chiedono che strutture ci sono a disposizione dobbiamo rispondere “nessuna”. Non c’è nemmeno il posto per parcheggiare… per non parlare di gabinetti, di un servizio di ristoro, di tutto quello che servirebbe per valorizzare la passeggiata, e che tra l’altro creerebbe anche posti di lavoro. Ora, dopo tanti anni, si è fatto un trenino che da porto arriva alla passeggiata. Meglio di niente… ma è ancora troppo poco.

D: A Varazze c’è, o sta per esserci, un problema di rifiuti. E si è parlato chiaramente dell’inceneritore come soluzione ideale. Qual è la sua posizione in merito?
R: Ovviamente non posso neppure pensare all’idea dell’inceneritore: è una soluzione che non si può accettare in una società civile, che tenga alla salute dei cittadini. E’ vero, esiste il problema perché la discarica si sta esaurendo: la soluzione vera è la raccolta differenziata, che ormai si fa in moltissimi comuni italiani con ottimi risultati, tanto che molto turisti arrivano qui con i loro contenitori, fanno i loro sacchetti ben divisi …e poi non sanno dove buttarli e a volte si scandalizzano proprio per la nostra inciviltà in materia.
Purtroppo in Comune di differenziata non si parla assolutamente: credo che vedano sempre l’inceneritore come soluzione al problema. Qui è stato aperto solo un centro di raccolta per i materiali ingombranti: che ancora una volta è meglio di niente, ma non è certo la risposta.

D: L’ultimissima domanda è, inevitabilmente, quella più polemica: siete stati il primo Comune a varare le famigerate “ronde”. Ce ne vuole parlare?
R: Ah… le ronde sono una vera chicca! E’ stato appena emanata la regolamentazione del loro operato, con i luoghi precisi. Le ronde pattuglieranno le scuole al momento dell’entrata e dell’uscita dei ragazzi, l’asilo infantile, la passeggiata a mare e le aree del centro storico. Orario: dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 18.
Questi sarebbero i luoghi e gli orari “pericolosi” , quelli con problemi di sicurezza, nella città di Varazze.

(e qui l’intervistatrice chiede scusa, ma si lascia andare proprio a una risataccia di cuore).
D: Maddai… e chi le fa, le ronde, con questi orari? Le nonne, intanto che vanno a fare la spesa?
R: Guardi, a prescindere dal fatto che io ritengo Varazze una cittadina tranquillissima, proprio una delle più sicure di tutte la provincia, spero solo che ci sia un ripensamento “almeno” sugli orari.
A me non risulta che serva alcuna ronda, ma neppure un incremento delle Forze dell’ordine (che a loro volta, da me interpellate, hanno confermato una situazione assolutamente tranquilla): ma se proprio si deve pensare a una tutela “aggiuntiva” del territorio, prima di tutto si devono aiutare e sostenere le stesse Forze dell’Ordine, che sono i soggetti preposti ad occuparsene.
Vogliamo che anche i cittadini siano di sostegno, anche solo per denunciare comportamenti scorretti o maleducati per le vie della città? Torniamo ancora al discorso della cultura: insegniamo loro, fin dalla scuola, a non voltarsi dall’altra parte. Ad essere buoni cittadini e a segnalare quelli che non lo sono, a partire dal semplice gesto di buttare la cartaccia per terra. Anche i bambini delle elementari oggi hanno il cellulare: insegniamo loro ad avvertire i vigili se assistono a comportamenti contrari al senso civico.
Questa è la strada da percorrere: non mandare le ronde a tutelare… lo shopping. La Giunta, nei giorni scorsi, ha esaminato anche un progetto di videosorveglianza: ma ne abbiamo davvero bisogno?
Siamo un paese di 14.000…pellegrini, mi perdoni il termine, che per quanto ne so io hanno senso civico più che sufficiente, e soprattutto sufficiente dignità, da non aver bisogno di sentirsi “sorvegliati speciali”.
Purtroppo c’è il solito problema della “sicurezza” legata, nell’immaginario di qualcuno, agli extracomunitari: d’altronde noi “vantiamo” un assessore dichiaratamente razzista, nel senso che lo annuncia proprio pubblicamente. Questa, a mio avviso, è una cosa proprio inaccettabile, che non dovrebbe esistere in una città civile.